HERBARIUM i fiori sono rimasti rosa

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Ci sono tre strati di forme ben percepibili nelle fotografie di Alessandra Calò e tale aspetto ci indirizza verso una loro lettura non informativa, ma simbolica. Vi possiamo riconoscere delle mani, dei vegetali e delle scritte a comporre un racconto che intreccia la riproduzione di erbe spontanee appositamente raccolte con le note manoscritte lasciate nel secondo Ottocento nel proprio erbario dal dilettante Antonio Cremona Casali, affascinato dalla collezione settecentesca del naturalista Filippo Re, ora ai Musei Civici di Reggio Emilia.  Alessandra Calò ha lavorato a questa ricerca insieme ad alcune persone con fragilità in un laboratorio allestito presso Palazzo dei Musei e ha utilizzato una tecnica di stampa fotografica storica, la callitipia, nella quale la manualità operativa è frazionabile fra i vari partecipanti.  Il lavoro si colloca nell’ambito concettuale tipico di questa fotografa e, nel medesimo tempo, ripropone un’operatività formativa che ritorna alle pratiche artigianali dei primordi fotografici, dando nuovamente valore all’abilità personale. A tutto questo si affianca la capacità creativa generata dalle pulsioni interiori indotte dalle testimonianze di competenze lontane, quali la razionalità della cultura illuminista di Filippo Re e i sentimenti romantici delle note di Cremona Casoli, intese sia come manifestazioni storicamente differenziate dell’inventiva umana, sia come fonti della odierna creazione artistica. Non vi è dunque separazione fra immaginare e fare, ma continuità vitale, che trascorre dalla mente alle mani e, attraverso di esse, ritorna al pensiero per rinnovarne la creatività. Entro questo movimento circolare Alessandra Calò ha saputo inserire una sapienza compositiva generatrice di immagini leggere e fluttuanti, in cui le entità percepibili restano distinte e non relazionabili a un prima e a un dopo, come nel flusso di coscienza letterario si alternano con linearità memoria e sedimento inconscio.

 

Massimo Mussini

Three easily perceptible layers of forms emerge from Alessandra Calò’s photographs, pointing us towards symbolic rather than information-based interpretations. The hands, plants and writings we may recognize compose a story that interweaves reproductions of wild herbs collected for this purpose with handwritten notes made in the latter half of the 19th century in a herbarium by amateur Antonio Cremona Casoli, who in turn was inspired by naturalist Filippo Re’s l8th-century collection, today conserved at the Musei Civici di Reggio Emilia.
Alessandra Calò worked on this project with differently ­abled people at a workshop staged by the Palazzo dei Musei, using a historical photographic printing technique, the kallitype, in which participants took turns using the operative manual skills required.
This work falls within the photographer’s typical conceptual framework, offering an educational process that harks back to the artisanal practices of early photographic times, restoring value to personal expertise, alongside the creative capacity and inner drive of distant skills such as the rationality of Filippo Re’s Enlightenment culture and the romantic sentiments of Cremona Casoli’s notes, interpreted as historically differentiated manifestations of human inventiveness and as sources for artistic creation today. The resulting vital continuity draws no separation between imagining and doing, passing from the mind to the hand and, through the hand, back to thought to spawn renewed creative vigour. Alessandra Calò skilfully inserts compositional wisdom into this circular motion, generating light, fluctuating images in which perceptible entities remain distinct, unrelatable to a before and after, much in the way that memory and unconscious sediment alternate with linearity in literary streams of consciousness.

Massimo Mussini

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The Garden's Tale

A completamento del progetto, un libro d’artista curato e pubblicato da Stufiofaganel (Gorizia).
Il libro è concepito come una cartella, contenente all’interno 16 singole tavole. Ogni cartella può definirsi unica grazie alla felce stampata a mano dall’artista.

Info:

Editore: studiofaganel, maggio 2022
Stampa: Poligrafiche San Marco, Cormons, Gorizia
Carte: Munken Polar Rough 300 g, Kraftpak 305 g
Pagine: 16
Dimensione: 21.5 x 27.3 cm
Tiratura: 150 trade edition numerate e firmate
16 special edition, con una fotografia stampata su carta di gelso mm 270 x 210 (all’interno)

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INTRECCI

Roberta Valtorta

 

Il progetto fotografico realizzato da Alessandra Calò insieme a un gruppo di persone con diversi tipi di disabilità si fonda su una idea di intreccio. Questo è il termine che viene alla mente nell’analizzare sia l’esito del lavoro sia le procedure adottate.
Tutto è partito dall’osservazione delle pagine di un erbario realizzato da ragazzo da Antonio Casoli Cremona e conservato presso i Musei Civici di Reggio Emilia. I partecipanti al progetto lo hanno preferito tra gli altri presenti nelle collezioni del Museo per la spontaneità con la quale questo ragazzo di fine Ottocento raccolse e riunì una grande quantità di fiori ed erbe locali. Un punto di partenza poetico e legato con semplicità ai vari modi di essere delle cose della natura, che ha portato il gruppo a seguire un percorso basato su alcune azioni di grande felicità creativa.
I partecipanti hanno dedicato attenzione alle forme della natura nella loro varietà e diversità, prendendo in considerazione le erbe spontanee trovate intorno a loro (quante erbe vediamo crescere nelle pieghe dei marciapiedi, nei giardini e negli orti, ai bordi delle strade – esse sono davvero parte del nostro universo quotidiano).
Le hanno poi trasformate, o meglio le hanno viste trasformarsi in impronte sulla carta fotografica grazie a una antica tecnica: quella del disegno fotogenico, tanto sperimentata da William Henry Fox Talbot, uno degli inventori della fotografia, e poi ripresa e a noi nota con il termine fotogramma da molti artisti delle avanguardie, da Man Ray (il rayograph) a Laszlo Moholy-Nagy, da Christian Schad (la schadografia, termine coniato da Tristan Tzara sul gioco Schad-shadow) a Luigi Veronesi, che la praticò per molti decenni, ben oltre il momento delle avanguardie, una procedura assai essenziale che non necessita della macchina fotografica ma si basa sulla diretta azione della luce su un supporto sensibile sul quale venga posato un oggetto.

 

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Questa scelta operativa di Alessandra Calò ha posto il gruppo a contatto con le origini stesse della fotografia (che si collegano alle sperimentazioni in campo calcografico), con il clima sperimentale e per certi aspetti ludico delle avanguardie, e anche con un metodo di lavoro molto immediato, intuitivo e di forte efficace didattica, fondato sui concetti di luce e di impronta, fondamentali per capire la fotografia.
Ma il lavoro così realizzato sulle forme affascinanti e al tempo stesso familiari delle erbe si è unito a immagini delle mani stesse dei partecipanti (mani simbolo anche dell’operatività fotografica) riprese nell’atto di cogliere un fiore o un’erba. Questo gesto delicato, rispettoso, un gesto che non può essere violento né veloce ma deve, per realizzarsi, essere fine e calibrato, è simbolo di osservazione, attenzione, cura, scelta. L’unione delle due immagini racconta un processo di lavoro – cogliere e impressionare – e nel contempo intreccia concettualmente due modi di essere della fotografia: quello che fa derivare l’immagine dall’oggetto stesso, senza mediazione tecnologica, e quello che, invece, prende la scena, la realtà potremmo dire, come riferimento per la ripresa attraverso la macchina fotografica. Ma la sovrapposizione di queste due immagini intreccia e unifica visivamente anche due momenti di vita che, tra loro staccati nel farsi del lavoro, vengono a coincidere e a creare una nuova realtà nella quale l’umanità delle mani e la naturalità delle erbe convivono in armonia.
Chiude il discorso la scelta di una ulteriore tecnica di stampa ottocentesca, quella della callitipia, inizialmente sperimentata da John Herschel, inventore peraltro anche del fissaggio fotografico e del termine fotografia stesso, e successivamente da altri fotografi dell’Ottocento, quando non da artisti contemporanei. La callitipia, un tipo di stampa che impiega i sali di ferro oltre all’argento, conferisce un colore bruno alle immagini, che appaiono lontane nel tempo, perdute in una dimensione un po’ sognante, altra da quella della quotidianità, e calde, accoglienti. L’esito finale è un’opera di arte partecipata, di sensibile valore sociale, realizzata nel segno della bellezza e del potenziale creativo insito nella condivisione, che prende l’aspetto di una serie di immagini morbidamente pensose, dolcemente umane per chi le ha realizzate e per chi, ora, ha la fortuna di guardarle.

Milano, 22 aprile 2022